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IL BEL MATRIMONIO
(LE BEAU MARIAGE)
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  Stampa questa scheda Data della recensione: 15 settembre 1989
 
di Eric Rohmer, con Béatrice Romand, André Dussollier, Arielle Dombasle (Francia, 1982)
 
Coerenti e conseguenti come pochi nel cinema francese moderno i film di Rohmer, siano essi sotto l'etichetta della serie precedente, quella dei "Racconti morali" o quella attuale delle "Commedie e proverbi" si seguono e (non) si assomigliano. Le beau Mariage, uscito in questi giorni in una sala luganese è la storia di una ragazza che, stanca della propria libertà sessuale e della propria dipendenza da un amante sposato "decide" di sposarsi. Scegliendo con ostinata determinazione un ruolo decisionale di prerogativa maschile essa va incontro ad una prevedibile sconfitta: non tanto perché contravviene ad una esigenza tipica della moderna emancipazione femminile, la libertà professionale (è studentessa a Parigi, dove si reca ogni giorno dalla provincia nella quale abita) nei confronti della dipendenza coniugale e domestica. Ma poiché contraddice la meccanica che governa le regole del cinema di Rohmer: quelle del desiderio e del possesso. La preda che le sfugge, il giovane, agiato avvocato di successo che André Dussollier interpreta con straordinaria facilità, glielo dice in tutta tranquillità, nel corso della spiegazione finale, perfetto esempio di cinema, e filosofia, rohmeriana: "se, contro ogni aspettativa, non sono attratto da voi è solo perché - avessi pensato al matrimonio - avrei dovuto avere per primo quest'idea...". Marion, una delle protagoniste di Pauline à la plage (uno dei film della Piazza più ammirati ma anche contestati a Locarno) dichiara invece di voler "ardere d'amore". Da motivazioni di questo tipo puramente accademiche, prettamente arbitrarie, nascono i comportamenti dei personaggi di Rohmer. Ognuno segue il programma dettato dal proprio desiderio. E questo programma diventa la chiave motrice del racconto, la legge che sposeranno i diversi elementi dell'espressione cinematografica, primo fra tutti quello che detta, con la sua perfezione letteraria, il tono del tutto, il dialogo.

Possesso e desiderio sono le chiavi per entrare nel discorso, non solo morale ma anche linguistico di Rohmer. Ma si tratta di elementi non certo fisici, se non nelle apparenze: l'amore, così come l'attrazione sessuale, sono dei semplici pretesti. Che servono ai personaggi per esprimere il loro potere, se sono maschili. Mentre a quelli femminili rimane il ruolo opposto: sottomessi, esercitano un potere di seduzione. Contravvenire a queste regole, come per la Sabine di Le beau mariage o la Marion di Pauline significa andare a sbattere contro un muro. Reazionaria la protagonista del primo, alla quale persino la madre rimprovera che prima bisogna stare con un uomo e poi, caso mai, riuscire a farsi sposare? Semplicemente sciocchi i personaggi da spiaggia del secondo? Indubbiamente: ed è quello che urta degli spettatori abituati ad un cinema di esplicita, quanto sommaria liberazione. Ma si dimentica di porre un occhio a quello che regola il cinema di Rohmer, come quello di qualsiasi altro: il linguaggio. La precisione totale del cinema di Rohmer (dall'ambientazione agli abiti dei personaggi, dal tono della recitazione alla scelta delle gradazioni cromatiche) fa sì che i suoi attori siano più dei soggetti di studio che dei personaggi. Delle loro debolezze il regista fa la ragione del proprio sguardo cinematografico: per iscriverli in un gioco sapiente, che ancor maggiormente sottolinea la loro imperfezione. Si è parlato spesso, a proposito del classicismo di Rohmer, di Marivaux. E cade a proposito la citazione di quanto Voltaire diceva di Marivaux: "un uomo che ha passato la vita a pesare delle uova di mosca con dei bilancini fatti di ragnatele". I personaggi di Rohmer non evolvono, sono i medesimi alla fine del film di ciò che erano all'inizio: sono degli esempi di comportamento teatrale, filmati con un uso maturo del cinema che li rende essenzialmente cinematografici. Molière illustrato da Hitchcock. Il cinema rohmeriano crea con i sentimenti. Non solo, ma coi sentimenti riesce a creare una tensione, una suspense proprio hitchcockiana. Lo spettatore moderno si rende conto dell'evidenza (fino alla futilità) della meccanica aneddotica di Rohmer. Si rende conto che l'eroina di Le beau Mariage non ce la farà: ma sfido chiunque a uscire a metà, senza sapere come andrà a finire, della scena già citata, nella quale Sabine irrompe nello studio dell'avocado che vorrebbe "costringere" a sposarla.

Il cinema di Rohmer è anche questo: il piacere di fondere, con una perfezione ed una grazia che ci confondono ad ogni istante un'idea letteraria (una sceneggiatura, in termini più cinematografici), alla qualità di uno sguardo.


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